Graffiante desiderio. Al mare, d’inverno, l’attrazione è fatale
Andrea GiorgiIl mare d’inverno non sempre è un film in bianco e nero. A volte è qualcosa di inquietante, capace di rendere instabili i rapporti e turbare le coscienze di una certa borghesia rampante, quella che nei primi anni Novanta, forse, chiamava ancora i giovani “yuppies”.
Non a Milano. A Rimini, tra spiagge desolate e alberghi vuoti. Ed è qui che il graffiante desiderio finirà per travolgere il ragazzo di buona famiglia che ha perso la testa per la donna sbagliata. C’è chi dice è una strega, tanto lei se ne frega. Anche se questo lo scopriremo dopo, in un crescendo che – pur di derivazione televisiva – riesce a mantenere il film sugli standard dei prodotti di genere del periodo. Parliamo del 1993. In quegli anni per il piccolo schermo era molto attiva Reteitalia della Fininvest, che in precedenza aveva per esempio posto il sigillo a diversi lavori di Lamberto Bava e di altri nostri artigiani. Non a questo, anche se pare che dei contatti ci fossero stati. Di certo Sergio Martino aveva iniziato a rivolgersi a mercati più ampi dopo che i suoi ultimi film avevano avuto poche opportunità anche sul piano distributivo. La distribuzione era scarsa in Italia, ma offriva qualche chance in più a livello internazionale. Ed è lì che guarda il film, «un erotico soft a componente sadica» (secondo «Segnocinema») del quale, al Mifed, si ricordano brochure patinate e il titolo internazionale: Craving Desire. L’onda lunga di Basic Instinct di Paul Verhoeven (1992) non si era ancora esaurita, con conseguente boom di titoli thriller a due parole, alla ricerca dell’effetto.
La scena si apre su una coppia di fratelli napoletani che litigano per i soldi. La discussione nasce a margine della riesumazione del cadavere della nonna che aveva lasciato un’eredità. Al centro della vicenda, però, ci sono due cugini (carnali, tanto per citare lo stesso Martino): nella casa natale, infatti, Luigi (Ron Nummi) ritrova Sonia (Vittoria Belvedere). Tra loro c’è chimica fin da quando erano entrambi ragazzini. «Non è il primo che vedo» dice lei al cospetto del cadavere, con un cinismo che stona su un viso tanto angelico, presagio di quello che andrà ad accadere. Sei mesi dopo, inverno. Lui è un manager di provincia che ambisce a una vita inquadrata, tutta casa e azienda. Conserva la foto della fidanzata sulla scrivania, nonostante le belle segretarie che lo circondano di cui lui, per dire, neanche ricorda il nome. Il suo direttore, il Dr. Fabbri (Andrea Roncato), lo manda a vedere un terreno dove sorgerà una residenza al centro di un’operazione commerciale con dei giapponesi. Ad accompagnarlo c’è la moglie del direttore stesso, Marcella (Serena Grandi), che sul prato prende una storta alla caviglia. E qui la parabola sulle umane debolezze comincia ad assumere coordinate più chiare e precise. Luigi si offre di massaggiarle la gamba, velata di nylon, non potendo fare a meno di sbirciare sotto la gonna. «Possiamo andare, quello che dovevamo vedere l’abbiamo già visto…». Poi la situazione prende una piega imprevista: alla porta si presenta la bella cugina, o sedicente tale, che vuole fermarsi nella grande casa dove Luigi vive solo. Di più. La mattina lei va a svegliarlo con la camicia birichina aperta giusto dove serve. Allo stesso modo resta aperta la porta del bagno mentre la donna è nella vasca, tra il vedo e il non vedo della schiuma. La relazione inizia a muoversi sul perimetro del triangolo perché di mezzo c’è Cinzia, la fidanzata di Luigi. Una che mentre si spoglia manda a memoria tutte le incombenze di casa, dal tubo che perde all’idraulico da chiamare. E poi non fa che lamentarsi, anche sotto le lenzuola (Mi schiacci, hai la barba che punge, non mi tirare i capelli). Inevitabile che in questo quadretto di mestizia domestica l’appeal di Sonia funzioni subito. «Non vorrai mica passare la vita con una che non sa fare l’amore?» dice lei attirando Luigi in un vortice di perdizione in cui l’uomo si perde volentieri. Un’attrazione fatale alla Adrian Lyne, cui Martino – anche sceneggiatore, con Maurizio Rasio (e Umberto Lenzi? Non accreditato, secondo IMDb) – guarda con occhio interessato. In breve, un abisso si spalanca nella vita del manager che si trova ad affrontare il fascino del male. Il disordine in una vita ordinata. Sonia si rivela presto pronta a sparigliare le carte all’insegna del desiderio. Un desiderio, appunto, letteralmente graffiante in più di un’occasione. Luigi la trova nuda nel letto e lei lo stuzzica col piede scalzo, da cui l’immagine della locandina. La donna si insinua nella coppia mirando all’autodistruzione travestita da joie de vivre. Invita il suo ingenuo amante a rubare in un supermercato. Lo convince a rapinare una gioielleria e a rimorchiare in discoteca. Lo spinge persino a uno scambio di coppia che, però, si trasforma in una folle scenata di gelosia. Il sonno delle sicurezze borghesi genera mostri. Intorno ai protagonisti si muovono solo personaggi squallidi, traditori di tutti. Il mélo, infine, non sarebbe completo senza i peccati in famiglia che emergono prima del finale horror. Nulla comunque è risparmiato, anche per merito della nebbiosa fotografia del fidato Giancarlo Ferrando. Gli interni sono stilizzati, i segni della modernità evidenti. Squilla uno dei primi cellulari. La videocamera con cui Sonia si mette a giocare serve da occhio impuro. Funziona bene il grande attico in cui tutto accade, con apertura circolare in vetro che, forse, rimanda addirittura a Hitchcock. Di culto il cast. Serena Grandi interpreta la moglie ricca e sola che prova a sedurre il manager più per noia che per convinzione. Martino se ne serve per alimentare un immaginario ovviamente brassiano (nel senso di Tinto) prossimo a segnare il passo, fatto di calze autoreggenti, di pellicce, pizzi e merletti. Andrea Roncato si confronta per la prima volta con un ruolo drammatico. «Il problema del film era rendere credibile il suo personaggio» spiegò lo stesso Martino a «Nocturno». Pur non essendo troppo aiutato dal doppiaggio, Ron Nummi – di cui poi si sono perse le tracce – ci mette del suo, a partire da un viso adatto alla parte. In un cappotto di cammello alla Delon insegue tra le brume del porto la sua prima notte di quiete. Vittoria Belvedere, prima della brillante carriera televisiva, è una bellezza statuaria e candida, persino troppo bella, forse, nella veste di femme fatale in tacchi a spillo e impermeabile nero che cita Luna di fiele di Roman Polanski (1992). Sulla cover del dvd francese appare così, ma con alle spalle il ponte di Brooklyn (!). Cinzia, la moglie del protagonista, è un’esordiente, giovanissima Simona Borioni. Martino, dunque, ha chiari in testa i topoi del thriller erotico a cui deve attenersi senza eccedere, con nudi spesso di sguincio, mai integrali. Alla fine, però, la sua passionaccia per la commedia si fa largo: «I giapponesi cagano giallo» fa scrivere nel contratto con cui Sonia, ormai sempre più fuori controllo, fa saltare l’affare con i giapponesi capitanati da Hal Yamanouchi.
CAST & CREDITS
Regia: Sergio Martino; soggetto: Sergio Martino, Maurizio Rasio, Umberto Lenzi (non accreditato); sceneggiatura: Sergio Martino, Umberto Rasio, Umberto Lenzi (non accreditato); fotografia: Giancarlo Ferrando; scenografia: Stefano Massimi; costumi: Silvio Laurenzi; montaggio: Eugenio Alabiso; musiche: Natale Massara; interpreti: Vittoria Belvedere (Sonia), Ron Nummi (Luigi Muscati), Andrea Roncato (Dr. Fabbri), Serena Grandi (Marcella Fabbri), Simona Borioni (Cinzia); produzione: Dania Film, Devon Cinematografica; origine: Italia, 1993; durata: 97’; home video: dvd Quinto Piano; colonna sonora: inedita.